Recensione: Gomorra

La camorra è un altro stato, controlla qualsiasi cosa, dal commercio di abiti contraffatti (con l’aiuto degli industriali del nord), a quello delle armi, dallo smaltimento di riufiuti tossici in discariche abusive, ai prestiti dati a chi ne ha bisogno, dal sostentamento delle famiglie che hanno un parente in carcere, al traffico di droga.
Non esistono immigrati clandestini, bande africane o altre mafie che possono mettere i bastoni tra le ruote alla macchina camorrista e lo stato quando serve latita. Tutto ciò l’hanno ben capito Marco (Marco Macor) e Ciro (Ciro Petrone), ragazzi che vogliono conquistare con la forza l’indipendenza all’interno della società, l’ha capito Totò (Salvatore Abruzzese), tredicenne che sogna di diventare uno di quelli che conta e l’hanno capito a loro spese i cinesi che provano a soffiare il mercato della contraffazione ai boss locali.
Gomorra, film vincitore del Gran Premio della giuria al sessantunesimo Festival di Cannes, diretto da Matteo Garrone è un racconto cruento e tremendamente doloroso della realtà camorrista che in 30 anni ha fatto più di 4000 mila morti tra Napoli e Caserta e che è stata così ben raccontata dal libro dall’omonimo libro di Roberto Saviano da cui è tratta la pellicola.