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Raiset: esiste ancora la concorrenza in tv?


Non c’è più la tv di una volta! Sul filo di questo vecchio adagio che chissà quante volte avremo pronunciato, ci accingiamo a una serie di riflessioni sullo stato di salute del mondo televisivo attuale, alla luce degli interessanti “scambi culturali” tra reti, che si sono profilati negli ultimi tempi.

Anni fa quando Canale 5 mosse i primi passi, diciamolo, i dirigenti Rai ridacchiavano di fronte a quella che ritenevano tutto tranne che una seria minaccia all’audience dei loro reti. Col passare del tempo la questione divenne seria perché oltre agli esiliati dell’emittente pubblica, come i vari Corrado, Mike Bongiorno, Sandra e Raimondo, la Fininvest forte dell’autorizzazione a trasmettere in diretta, diede il via a una campagna acquisti rivolta ai “pezzi da novanta” come Raffaella Carrà e Pippo Baudo, bisognosi di nuovi stimoli ma soprattutto ammaliati dai richiami dei lucrosi ingaggi che arrivavano dalla concorrenza.

La rivalità tra reti divenne spietata, non a caso in quel periodo, se ci si trovava in Rai, si indicavano le reti Mediaset come “di la” e una volta che il big di turno reduce dalle magre esperienze della tv commerciale, si riavvicinava alle reti di Stato, si parlava senza mezzi termini di ritorno a casa.

Oggi dati alla mano, si ha il sospetto che la concorrenza tra Rai e Mediaset sia più di facciata che reale, con la presenza di personaggi Mediaset a Sanremo, come ad esempio lo stesso Paolo Bonolis, “prestato” all’emittente pubblica, che ospita Maria De Filippi suscitando i commenti sarcastici della stampa che grida alla nascita un accordo trasversale Raiset. La Endemol, società del Gruppo Mediaset, creatrice di format, firma molti dei programmi trasmessi in Rai.

In tutto questo la situazione politica ha la sua rilevanza. Se il capo del Governo è titolare di un’azienda televisiva mentre quella di Stato risente fortemente delle decisioni di palazzo, appare difficile ritenere che possa esserci una sana concorrenza tra le due, inoltre il recente accordo tra Rai e Mediaset con la nascita della società Tivù per la diffusione del digitale terrestre, a cui va ad aggiungersi Telecom Italia Media per La7, scopre le carte di un accordo di non belligeranza dove il vero nemico appare il satellite, nella fattispecie Sky, che guarda caso si sta attrezzando ingaggiando grossi nomi come Fiorello.

Dalla sua, ma non si sa ancora per quanto, il satellite ha la carta dell’affrancamento dalle politiche auditel a cui invece è asservita la tv generalista, non a caso chi migra verso Sky, indica come elemento vincente, il non dover sottostare alle regole di numeri.

Il quadro a tinte fosche viene completato dai dati sui ricavi pubblicitari di Rai e Mediaset, che vedono la prima al palo rispetto alla seconda, con il sospetto avvalorato dai fatti che le grandi Aziende preferiscano investire nelle reti del presidente del Consiglio, affamando la tv di Stato e riducendola ai minimi termini. La chiave di lettura è semplice, meno soldi meno capacità di contrapporsi all’avversario, ammesso che ne esista ancora uno degno di questo nome.

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