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C’era una volta la libera informazione

Una pugnalata al cuore del diritto d’informazione, l’articolo 21 della Costituzione italiana. Ormai non abbiamo più dubbi, questo Paese è davvero alla frutta, colpito da una crisi economica e morale che colpisce tutti i comparti, come una variabile impazzita che ci fa tornare indietro di decenni fino a periodi cosi bui che mai avremmo voluto ricordare. Quello che sta accadendo nel campo dell’informazione e dei media in particolare, fa pensare che sia in atto un vero e proprio disegno ordito per zittire qualsiasi forma di civile dialogo.

Partiamo dalla cosiddetta par condicio, un’orrida legge tale da oscurare tutti i più popolari talk show Rai, su disposizione del suo direttore generale Mauro Masi. Il servizio pubblico ha deliberato una sorta di ghigliottina ispirata dal più classico autolesionismo in un periodo di vacche magre, al punto che lo stesso presidente Paolo Garimberti ha ammesso di vedere l’Azienda prossima al declino se non addirittura al collasso:“Se, come penso, il fine ultimo della classe politica è avvicinare il cittadino alla politica e di lottare contro l’astensionismo politico, ebbene questo fine non sarà mai raggiunto con questi mezzi, con l’invasione e l’assoggettamento della Rai. Al contrario“. Proprio perchè la Rai “è soprattutto un’azienda centrata sull’informazione in senso lato“, dunque “la politica avrebbe tutto il vantaggio a puntare sul dispiegamento di tutte le potenzialità informative della Rai“.

Esattamente il contrario di quello che è avvenuto: piuttosto che sfruttare i canali Rai per una decorosa informazione politica, ora che ce n’è un gran bisogno, si è preferito tarparle le ali, forse paventando risultati elettorali poco favorevoli all’attuale maggioranza. L’unica informazione ammessa è quella dei telegiornali per lo più proni alle disposizioni governative, dove un Augusto Minzolini direttore del TG1 o chi per lui si può permettere di definire l’avvocato Mills assolto piuttosto che colpevole di un reato prescritto.

Questa mattina ci siamo risvegliati in una dittatura, degna della Birmania. Uno scempio inaccettabile, quello della cancellazione dei programmi tv con contenuto politico. Mi viene da chiedere ai soloni che si sono inventati questa robaccia di spiegare cosa sia esattamente configurabile come contenuto politico”. Ad affermarlo non un parlamentare dell’opposizione ma Luca Barbareschi (Pdl) il quale per la sua carica di vicepresidente della Commissione Trasporti e Comunicazione della Camera, ha dovuto rinunciare all’appuntamento settimanale che conduce ogni venerdì sera su La7, a seguito delle deliranti disposizioni contenute nella par condicio.

Ma non è finita, in questi giorni è stato approvato in Consiglio dei ministri il decreto Romani, il controverso testo che recepisce la direttiva europea sugli audiovisivi. Il decreto avrebbe (il condizionale è d’obbligo) subito una sostanziale revisione, in particolare nella parte dove si equipara i siti professionali, che basano il loro business sulla diffusione di video e le emittenti tv tradizionali, ma come capita ormai in maniera sistematica in questo Paese si è preferito dare vita a un testo per molti aspetti poco chiaro e lasciato alla libera interpretazione dell’individuo, con tutte le logiche conseguenze del caso.

Come riportato dal sito del quotidiano La RepubblicaIl testo varato dal Cdm esclude dalla definizione di “servizio media audiovisivo” (e quindi dall’ambito della direttiva) i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da utenti privati a fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità di interesse. Più avanti però cita espressamente come “servizio di media audiovisivo non lineare” […] un servizio di media audiovisivo fornito da un fornitore di servizi di media per la visione di programmi al momento scelto dall’utente e su sua richiesta sulla base di un catalogo di programmi selezionati dal fornitore di servizi di media“.

Lasciamo a voi decidere cosa il legislatore abbia voluto dire, è facile immaginare nei prossimi mesi il proliferare di cause in merito, che andranno ad appesantire il nostro già pachidermico sistema giudiziario a tutto vantaggio degli azzeccagarbugli amanti del torbido. Su internet è possibile valutare il polso di un’opinione pubblica sempre più indispettita che spesso si aggrega per le varie manifestazioni di dissenso proprio grazie ai social network, niente di strano che la rete sia invisa ai governi compreso il nostro.

Come se non bastasse sempre il governo di cui sopra ha cancellato nel cosiddetto decreto milleproroghe le provvidenze all’editoria per le emittenti radiotelevisive a vantaggio delle radio e delle testate di partito. Il decreto poi è retroattivo: prevede la riduzione delle provvidenze sin dal 2009. Altro duro colpo alle emittenti minori a vantaggio delle più importanti, una in particolare che guarda caso destino vuole essere proprietà del presidente del Consiglio. Un puro caso dite voi? Ma fatemi il piacere!

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