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Sul Doppiaggio – 16 – L’orchestra e i musicisti

Continua il racconto di André Rigaud:

Venite adesso con me a fare un giro in uno studio dove si registrano le sincronizzazioni, ma vi prego di non fare nessun rumore. Se, per esempio, siete proprietari di un orologio a braccialetto, non vi avvicinate ai microfoni. Nella cabina dei registratori fonici, l’operatore finirebbe con l’udire dei colpi di martello. Non abbiate nessun timore. Quelle torpedini alate che sono sospese al soffitto, non sono dei siluri. La sale è piuttosto piccolo e se voi scatenate in questa sala una dozzina di musicisti, i microfoni registreranno un fracasso musicale simile all’annuncio del Giudizio Universale. Quelle cose che somigliano a delle torpedini servono semplicemente ad attutire i suoni. Finalmente l’orchestra è collocata. Il contrabbasso è stato messo in penitenza in un angolo, perché altrimenti le sue sorde eruttazioni, attraverso il microfono diventano terremoti. Davanti al podio largo un metro, si trovano cinque o sei attori in piedi. I loro occhi sono ansiosamente fissati verso la spirale sulla quale è scritto il testo da recitare. Si tratta di una specie di lettura a chiocciola.

In un altro angolo sono collocati i rumoristi, con tutti gli ordigni più o meno eterocliti che sono necessari per creare un’atmosfera. Il direttore tecnico, seduto su uno sgabello altolocato, guarda lo schermo sul quale dovrà fra poco giudicare il sincronismo delle frasi pronunciate. L’ingegnere che si occupa dei suoni è chiuso in una specie di gabbia di vetro e maneggia dei bottoni. Lo si direbbe un amatore di radio, deciso a fracassare il suo apparecchio. Il mettinscena si è chiuso anche lui nella gabbia di vetro e tiene l’orecchio teso verso l’altoparlante, l’occhio fissato allo schermo, la matita inclinata verso un quaderno, che fra poco, cioè dopo che le voci saranno state registrate, si riempirà di notazioni sgradevoli per gli attori.


Al piano di sopra, l’operatore che sorveglia le proiezioni verifica il funzionamento del suo apparecchio, mentre l’aiuto-operatore del suono carica la pellicola vergine che fra pochi minuti l’orchestra e le voci degli attori impressioneranno. Il diretto d’orchestra, davanti a un podio verticale sul quale si attorciglia lo spartito girevole da interpretare, sfoga tutti quei colpi di tosse, che non potrà assolutamente più emettere quando si comincerà a registrare la scena.

Tutto è pronto. Nella gabbia di vetro si accendono luci verdi bianche e rosse. Squilla suonerie di telefono. Oscurità. Silenzio.

Il silenzio è infatti assoluto. Pare di essere nella tomba di un muto. Nella notte artificiale, le lampade gettano riflessi macabri sui podi. Lo schermo si popola. I dischi si mettono a girare.

Il fracasso incomincia entro le frontiere di celotex, che non lasciano andar via nulla al di fuori. Non un centesimo di rumore sarà perduto. I musicisti suonano con gioia. Gli attori, per aiutare le loro intonazioni a uscire dalla gola, gesticola senza però muovere la testa: perché la testa è loro molto utile per seguire il contenuto letterario della lavagna girevole.

I rumoristi sembrano dei maniaci, dei pazzi calmi. Uno di essi apre e chiude metodicamente un comodino da notte. Un altro, sotto l’effimero pretesto che un treno attraversa lo schermo, agita una pompa da bicicletta, domina il pedale di una sventola. Un terzo rompe metodicamente dei piatti e fa scoppiare dei sacchettini di carta. Poi si mette a pestare i piedi e a ridere freneticamente, senza nessuna ragione. Il quadro che il rumorista numero 3 offre ai nostri occhi, potrebbe intitolarsi benissimo: un concerto in un manicomio.

Continua…

Nella foto (www.alerossi.com): Rita Savagnone

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