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Psicotivu – John Ryder

L’uomo che si trova davanti a me ha un’aria veramente inquietante. E’ venuto al posto di un altro paziente, dicendo che aveva preso accordi con questi per uno scambio. Una faccenda curiosa, non pensavo che i miei pazienti avessero contatti tra loro.

Deve essere colpa della saletta d’aspetto. Mi colpisce ancora di più sapere che John Ryder, seduto sulla poltrona davanti a me, trova divertente e paradossale trovarsi di fronte a uno psicologo. Dice che la cosa lo diverte.

Ha un’aria minacciosa, estremamente greve. Non so da dove possano venire fuori le mie sensazioni di diffidenza, probabilmente la stanchezza.


Cerco di mantenere la calma, è normale che a volte un paziente metta più soggezione di un altro. Quello che mi inquieta di lui è che non capisco se quell’espressione che deforma in modo assolutamente sgradevole il suo viso è un sorriso o no.

Perché in entrambi i casi si tratta di qualcosa di inappropriato. Nel caso stia sorridendo, mi chiedo cosa abbia da sorridere. La seduta è molto silenziosa. Fuori piove molto forte, e ho la sensazione che lui sia scaturito da questo temporale.

Ma la pioggia e i tuoni non l’hanno partorito come se fossero una madre, ma ripudiato come se si trattasse di una malattia da curare. La sua voce calma, mentre mi racconta qualcosa a cui non credo assolutamente, scherma altre parole colme di altri significati.

Dalle sue parole, deduco che viaggia molto, spostandosi spessissimo, e che ha occasione di conoscere moltissime persone. Dice che arriva a conoscere la gente molto in profondità, e che non ama i rapporti superficiali.

E’ l’unica affermazione in cui sento la sua sincerità. Mi sembra che si stia aprendo, perché il suo mezzo sorriso si accentua, e mi rendo conto contemporaneamente che si tratta di un’espressione diversa, una specie di ghigno che denuncia una certa sofferenza.

Mi vengono i brividi quando mi parla della morte e del suo rapporto con essa. Mi viene da pensare che in qualche modo l’interno di questa persona sia come un antro enorme e freddissimo.

Sento il gelo provenire dalle sue parole, me lo soffia addosso mentre mi dice che a volte sente la necessità di aiutare le persone a raggiungere stadi diversi dell’esistenza, in una ricerca della comprensione del senso della propria vita e di quella altrui.

Mi spiega, accendendo la mia attenzione e il mio interesse, quanto effettivamente vengano fatte valutazioni affrettate sul concetto stesso di “valore della vita”, e quanto, in tutti i contesti, è tutto un alternarsi inesorabile di dare e avere.

Mi dice che lui dà, e poi ottiene, e che per ottenere deve dare. Mi scervello pensando a cosa possa fare riferimento. Il suo argomentare sembra forzosamente enigmatico, come se volesse farmi capire qualcosa che assolutamente non vuole o non può dire, o che semplicemente si diverte a nascondere momentaneamente.

Gli chiedo dei suoi problemi. Sostiene di non averne, di reali. Per lui gli ostacoli sono semplicemente delle sfide, e poi diventano oggetti del desiderio, obiettivi da perseguire. Mi stupisco delle spiccate capacità introspettive del mio paziente.

Andando avanti mi rendo conto di non essere riuscito ad ottenere molte informazioni da lui, di alcun tipo. Lui mi ha detto quello che voleva dirmi, e il suo impermeabile nero assolutamente fuori moda rappresenta ancora una corazza efficace per tutto il mondo oscuro che sta nascondendo.

Mentre si allontana sogghignando, comincio ad essere in apprensione per il paziente con il quale il signor Ryder dice di aver scambiato la seduta.

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