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Recensione: Iron Man

Tony Stark (Robert Downey Jr.), l’erede delle industrie d’armi Stark, autentico genio che a sei anni aveva già costruito un motore e a 17 era laureato al MIT, un giorno, dopo la presentazione (con annessa vendita) del missile Jericho, ultima sua creazione, viene rapito da un gruppo di ribelli.
Ad aiutarlo nella costruzione del modello, Raza (Faran Tahir), il capo dei ribelli gli assegna Yinsen (Shaun Toub), un uomo che si rivela la vera chiave di volta della vita di Tony: non solo lo assiste nella costruzione di un’armatura ultratecnologica che lo farà fuggire, ma gli fa capire, in punto di morte, di non gettare al vento la sua vita e di utilizzarla per qualcosa di utile.
Tornato in patria, il ricco e solo uomo d’affari dichiarerà la chiusura dell’industrie, per mettere il suo genio a disposizione di opere a fin di bene (mentre nel frattempo creerà una nuova e più potente armatura, dotata di un cuore di energia superiore ad ogni aspettativa, che indossata lo trasforma in Iron Man). Dalla sua parte l’inseparabile segretaria Virginia Pepper Potts (Gwyneth Paltrow) e un ufficiale dell’esercito Jim Rhodes (Terrence Howard). Contro di lui, prima Raza, poi il suo socio d’affari Obadiah Stane (Jeff Bridges), che vuole continuare ad arricchirsi costruendo armi e che si approprierà del progetto dell’armatura per dominare il mondo (si fa per dire).


Iron Man, film prodotto dalla Marvel (in società con la Paramount) e diretto da Jon Favreau (Elf) è l’ennesimo film basato su un personaggio dei fumetti, ma a differenza degli altri, è un supereroe sempre molto umano, forse perché il suo cuore di pietra (Tony, l’industriale sicuro di sé e spaccone, in realtà è un uomo solo, freddo e senza amici) è l’unica parte che viene gravemente intaccata durante l’incidente e riparata con un nucleo energetico, forse anche perché, a vestire i panni del protagonista, è un Robert Downey Jr. bravissimo nella recitazione, ma non esattamente un fusto.
A livello tecnico, una nota di merito va sicuramente agli effetti speciali bellissimi, ma non sbalorditivi (supportano il film, senza rubare la scena alla storia), perfettamente aderenti all’umanizzazione del supereroe, alle prestazioni di un irriconoscibile Jeff Bridges, nella parte dell’antagonista (l’esatto opposto caratteriale di Stark quando è Obadiah e pure quando diventa Iron Monger, che rispetto ad Iron Man è più freddo, grezzo e gretto) e a quella di Gwyneth Paltrow, che è ottimamente calata nella parte della fedele assistente di Stark, figura simile al maggiordomo Alfred di Batman.
Il film, rispetto al fumetto creato nel 1963 da Stan Lee (che è presente con un cameo) ai tempi della guerra fredda, è stato reso attuale scegliendo anzitutto un nemico differente, i ribelli mediorientali, poi inserendolo in un contesto tecnologico più avanzato rispetto agli anni della sua creazione (pur mantenendo inalterato l’aspetto dell’armatura), infine cavalcando l’ondata pacifista (o presunta tale) che si è avuta dopo gli avvenimenti dell’undici settembre e le guerre seguenti.
Concludendo: un uomo solo, che parla più al suo computer e alle sue macchine, che agli esseri umani, ricco di genio, ma povero di umanità e fantasia (fa scegliere alla segretaria il proprio regalo di compleanno) dopo essere sopravvissuto ad un incidente si redime. Un’armatura trasforma quest’uomo in supereroe. Un regista trasforma il fumetto in film, l’emozioni del lettore in adrenalina per lo spettatore.

Questo è Iron Man.

Consigliato agli amanti dei supereroi e anche tutti coloro che cercano, oltre agli effetti speciali, una storia ben raccontata e appagante.

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