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Furto sospetto a casa di Nerazzini, giornalista di Report

Furto sospetto, domenica notte, nella casa del giornalista di Report Alberto Nerazzini: i ladri hanno rubato tutto il materiale da lavoro (due telecamere, cinque computer, microfoni e vario materiale per montare i video) senza portare via i tanti oggetti di valore presenti in casa. Inoltre, le tante attrezzature analoghe appartenenti al coinquilino giornalista non sono state minimamente toccate.

Recentemente Nerazzini aveva ricevuto una serie di riconoscimenti per alcune inchieste relative alla presenza della ‘ndrangheta (la “mafia calabrese”) in Canada. Un lungo lavoro svolto tra la Calabria e Toronto, che ha portato alla realizzazione di un’inchiesta che ha avuto un grande impatto mediatico in Canada. In questi ultimi giorni, poi, sempre a Toronto ci sono stati per la prima volta due omicidi legati alla malavita calabrese. Date queste premesse, la natura intimidatoria dello strano furto appare più che evidente.

 

Il furto è stato scoperto ieri sera dal giornalista che, rientrato da una gita sull’Appennino modenese, ha trovato la brutta sorpresa. La casa era in perfetto ordine ma tutto il materiale da lavoro era sparito. Nerazzini è rimasto molto scosso, per le stranezze che ruotano attorno al furto e per le inevitabili conseguenze: “Non posso più lavorare. Se mi volevano tagliare le gambe me le hanno tagliate. Ripartirò, ma mi servirà del tempo. In quei computer c’erano il mio archivio degli ultimi sei anni”. Un danno economico, dato l’alto livello degli attrezzi, ma soprattutto personale.

 

Insomma, tutti gli aspetti della vicenda possiedono il cattivo retrogusto dell’intimidazione.  I ladri sono entrati passando da una finestra e hanno agito da professionisti, lasciando un segno di effrazione molto leggero: gli scuri e le finestre, che erano chiusi, sono stati aperti. Ma sono soprattutto i tanti oggetti di valore lasciati in casa a chiarire ogni dubbio del messaggio: smettere di lavorare. Noi di Cinetivu – nel nostro piccolo – vogliamo esprimere la piena solidarietà al collega. Per quanto possa valere, un gesto del genere esprime anche un altro messaggio: giornalismo d’inchiesta fatto bene. Quello che in Italia, purtroppo, riescono a fare solo in pochi.

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