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Anno Uno, recensione prima puntata: #stoconlamia Recensione

Anno Uno è andato finalmente in onda, in diretta e al debutto con il Presidente del Consiglio Matteo Renzi: una trasmissione nata dalla costola di Michele Santoro e il suo Servizio Pubblico, che vuole rifarsi ad Anno Zero in onda prima dell’editto bulgaro su Rai 2 (non a caso Renzi durante la serata dichiara pubblicamente che vorrebbe vedere un programma simile nella tv pubblica perché offre un servizio pubblico, ma poi come la mettiamo con Santoro che torna in Rai ma non ci torna davvero perché è Giulia Innocenzi a condurre e lui solo ad aprire e chiudere il programma?), con tanti spunti di potenzialità e qualche sbavatura da ritoccare nel corso delle prossime puntate.


Anno Uno è un format che fa l’occhiolino a Bersaglio Mobile senza la componente del One Journalist Show stile Mentana o Annunziata, prediligendo lo stile Amici prima maniera (quello che vide il lancio di Maria De Filippi con un programma ideato e condotto da lei 20 anni fa su Canale 5) intonando Curre Curre Guagliò opportunamente rivisitata con Centro sociale mancato è nato.

Doveva andare così, anzi, poteva andare molto peggio: ci sono stati errori di scaletta, non propriamente di conduzione, poiché è credibile pensare che avere a battesimo di un programma il premier inibisca già di norma un conduttore, se pensiamo che per la Innocenzi era la sua prima volta in veste di conduttrice di un talk show (quasi) tutto suo; poi, i 24 giovani erano tenuti a guinzaglio stretto e Renzi è spesso diventato il 25esimo ragazzo.

In definitiva, i presupposti per fare di Anno Uno un vero programma credibile in un palinsesto televisivo ci sono, anche se bisogna invertire i tempi con l’ingresso dell’ospite fin dai primi minuti del programma (la portata principale, il piatto forte, non si offre certamente subito al palato, ma alla vista, all’olfatto, all’udito si), poi si sviluppa il confronto con la conduttrice attraverso il lancio dei servizi e poi può partire il talk con i ragazzi, che sono più liberi di scorazzare e litigare un po’. Soprattutto tra di loro.

Un appunto per quanto riguarda i servizi: male l’intervista di Sandro Ruotolo con l’ultrà doppiato, recepita malissimo sui social: addirittura Giulio Base, che non è affatto l’ultimo dei professionisti del settore audiovisivo, interviene su Twitter:

Bene il commento dei ragazzi siciliani intervistati da Pablo Trincia funzionavano (meno il momento iena umanitaria nel centro di accoglienza solo perché già visto, lui ha classe e bravura ma bisogna lasciarlo crescere), purtroppo nessuno in studio ha colto l’assist e il contributo è stato vanificato, peccato perché poteva essere una vera evoluzione di Lucignolo, invece nisba.

Su questo blocco, Giulia Innocenzi potrebbe guardare anche Uomini e Donne oltre ad Amici anni ’90: se si manda un servizio, bisogna strizzarlo come una spugna (lo insegna la De Filippi, di certo non io); chiudiamo sull’esperimento de l’ultima parola: proposto com’è stato fatto è un elemento trash e mal contestualizzato, insomma: stona. O viene lanciato un vero e proprio Reality Pull (ricordato da chi sta alla postazione Social), o meglio lasciare perdere. La persona che leggeva i tweet (se è stata presentata purtroppo mi sfugge il nome e in chiusura della trasmissione andava ricordata, ma vabbé) poteva essere coinvolta più spesso per riportare le voci della rete da casa. La social tv segue La7.

La mia opinione è che l’ospite sia considerato come il mezzo, non il fine del prodotto proposto in Anno Uno; se poi il politico di turno è disponibile a scendere in un confronto diretto e vero (Renzi ha usato lo stoico approccio alla State ‘BBoni di Maurizio Costanzo che serviva a ricordare chi fosse lui e cosa facesse in quel contesto) con uno dei ragazzi fino a una bella piazzata sarebbe un ottimo obiettivo. Ah, tanto per ricordarlo, l’ultima parola ce l’ha sempre Santoro, punto.

 

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