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Recensione: Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo

1957: l’archeologo Henry Indiana Jones (Harrison Ford), professore universitario con tanto di inseparabile frusta e cappello, e il suo “fedele” amico Mac (Ray Winstone), vengono fatti prigionieri dai russi, che sono alla ricerca del teschio di cristallo, uno dei tredici teschi Maya che riposizionato, si dice, faccia controllare il mondo intero.
L’unico che sa in quale luogo portare la reliquia è il professor Oxley (John Hurt), che prima di essere anch’egli catturato dai russi, manda Mutt Williams (Shia LaBeouf), un ragazzo vivace e spaccone (presentato centauro
, in modo da fare un omaggio a Marlon Brando, con alle spalle un segreto che viene rivelato nel corso del film) figlio di Marion (Karen Allen), a cercare Indy.


Con i Russi capitanati da Irina Spalko (Cate Blanchett), sempre alle calcagna, la combriccola riuscirà ad arrivare in fondo al mistero, enigma dopo enigma, rivelando una verità incredibile.
Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo (Indiana Jones and the Kingdom of the Crystal Skull) è il quarto episodio della saga diretta da Steven Spielberg, prodotta da George Lucas e interpretata magistralmente da Harrison Ford.
Il film ricalca fedelmente, come le pellicole precedenti, il carattere del personaggio principale, l’inimitabile Indiana Jones, ma rispetto ai primi tre episodi, siamo di fronte ad un avventuriero invecchiato, non per questo rincitrullito, ma più saggio, meno scavezzacollo, con lo stesso charme e lo stesso humor di una volta (godetevi le battute tra lui e Marion o quelle all’università), ma con una maggior coscienza dei pericoli, data dall’esperienza, e tutto ciò si ripercuote sulla storia: ogni azione è ragionata (anche se per solo qualche secondo), ogni scelta ponderata.
La sua spericolatezza viene ereditata da Mutt, un ragazzo che non esita a prendere in giro il vecchio Henry (nome poco utilizzato in passato, che viene rispolverato per aumentare l’idea di un Indiana più maturo) Jones, dandogli del Matusa, che è capace come lui a duellare su auto in corsa con una spada, picchiare più nemici nello stesso momento, saltare da una parte all’altra, evitare all’ultimo secondo il pericolo e fiutare l’imprevisto, ma non per questo ancora in grado di mandarlo in pensione (nel finale Indiana anticipa Mutt nel raccogliere il cappello, come a significare che non sia ancora giunta l’ora di passare il testimone).
Rispetto agli episodi precedenti cambiano gli effetti speciali (usati in certi punti forse un po’ troppo rispetto a quello a cui eravamo abituati), i nemici (non più tedeschi, ma russi), l’epoca (durante la guerra fredda), ma lo schema vincente rimane sempre quello: un enigma da risolvere, un mistero che ne introduce uno ancora più grande e un mix di azione spettacolare (la scena della sua fuga, all’interno della base militare, coreografata divinamente, vale da sola il prezzo del biglietto) condito da gag simpatiche (una delle più divertenti gioca sulla paura dei serpenti che ha da sempre Indiana Jones) e colpi di scena.
Concludendo: l’ottima (anche se un po’ farsesca, per la sua parlata russa) Cate Blanchett nel ruolo di principale antagonista e di Shia Labeouf come erede, l’azzeccata scelta di mostrare che gli anni passano anche per Indiana Jones, mantenendolo uomo e non trasformandolo in supereoe, che nemmeno il tempo scalfisce, l’intelligente sviluppo dei capitoli precedenti e scene da mozzare il fiato (i coinvolgenti inseguimenti in auto sono maniacali per quanto sono perfetti) fanno di Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo non solo uno dei film più belli dell’anno (e su questo c’erano pochi dubbi), ma anche una pellicola quasi all’altezza delle precedenti, non fosse per alcune esagerazioni (Mutt stile Tarzan) e alcune autocitazioni, soprattutto nel finale (come il tempio), che tolgono freschezza al nuovo capitolo.

10 commenti su “Recensione: Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo”

  1. Stupendo, l’ho visto ieri sera e non volevo finisse mai, non so se desiderare l’uscita di qualche prequel che colmi il vuoto dei vent’anni che separano questo dall’ultimo capitolo!

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