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Recensione: Un uomo qualunque – un film sopra la media

Bob Maconel è un uomo tranquillo (come lo definisce il titolo originale della pellicola: He was a quiet man): i suoi colleghi lo prendono in giro e lo sfruttano, i suoi vicini si ricordano di lui solo quando c’è da tagliare l’erba, la ragazza di cui si è invaghito, Vanessa (Elisha Cuthbert), nemmeno lo calcola, eppure lui non reagisce mai, perché non è mai il momento giusto.

Bob Maconel (Christian Slater), il protagonista di Un uomo qualunque, è una pentola a pressione pronta ad esplodere, un uomo solo con il suo lavoro (rappresentato dalla ventiquattro ore che porta sempre con sé) e i suoi pesci, che seppur anche un famoso adagio li definisca muti, per lui e con lui parlano.

Bob Maconel è il soggetto del gruppo, l’anello debole della catena, l’elemento da sacrificare del gregge, finché un giorno, quando finalmente decide di farla finita ed utilizzare i sei proiettili della sua pistola (cinque per i colleghi che odia di più e uno per se stesso), qualcuno non lo anticipa compiendo una strage e lui, sentendosi per l’ennesima volta l’eterno secondo, lo elimina piantandogli 5 proiettili in corpo.


Bob Maconel è un uomo che non vuole cambiare vita, ma farla finita, è una persona che diventa eroe contro il suo volere, che si sente in prigione quando abbandona il basso profilo che ha sempre mantenuto, per accettare la visibilità dei giornali o la riconoscenza dei suoi colleghi e, se prima era lui a comportarsi in maniera passiva, ora sono gli altri a costringerlo ad essere quello che non vuole: è un eroe per i dipendenti della società, per i giornalisti, per le infermiere, è uno schiavetto per Vanessa (che anche se probabilmente lo ama, lo usa inconsciamente durante tutta la sua fisioterapia), è un importante dirigente per il suo capo (William H. Macy) che lo promuove in segno di gratitudine per i gesto che ha fatto.

Non preoccupatevi, non sono diventato pazzo: la ridondanza del nome Bob Maconel, che avrete sicuramente notato, vuole soltanto farvi entrare nell’ottica del film, cioè farvi capire che nella pellicola tutto è fatto per raccontarvi di lui e del suo stato mentale (voce fuori campo, riprese, fotografia, scenografia e pure l’uomo stesso che commette la strage).

Frank Cappello, il regista di questa particolarissima storia, in un’ora e trentacinque minuti, ricostruisce in maniera splendida lo stato mentale del protagonista, la sua sensazione di inutilità (in tutte le riprese all’aperto, le automobili e le persone, che ha intorno, vanno nettamente più veloci di lui), la sua visione negativa della vita (anche il cubo di Rubik appoggiato sul tavolo, invece di avere i quadrati di colori differenti, li ha tutti di in tonalità di grigio).

Concludendo: Un uomo qualunque è un’opera che merita maggior attenzione rispetto quella che gli vien data: le scelte registiche (come l’inquadratura dall’alto della ruota dell’aereo che cade, o le riprese in soggettiva) sono splendide, il montaggio, che alterna più tecniche differenti (jump cut, accelerazioni, rallenty) è perfetto per il film e la stessa l’interpretazione di Christian Slater veramente intensa. Unico neo, ma accettabile dato la tematica del film, è la lentezza in certi istanti.

Un uomo qualunque è un film che dà la possibilità ad ognuno di noi di riflettere sulla nostra esistenza, per scegliere come vogliamo cambiarla, senza volerci convincere che la via desiderata dal gregge sia realmente la migliore. Se Bob Maconel è un uomo qualunque, il film è sicuramente superiore alla media.

2 commenti su “Recensione: Un uomo qualunque – un film sopra la media”

  1. Gran bel film, Slater è strepitoso ed irriconoscibile.
    Fa riflettere su molte cose, a mio avviso poteva essere uno dei film canditati all’Oscar.

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