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Le storie di Top Secret

Altro che Top Secret, l’eco della morte di Paolo Borsellino echeggia ancora ovunque, e la sentono tutti. Claudio Brachino apre la trasmissione con un intervista niente meno che a Vincenzo Calcara, mafioso pentito, pronto a farci mille rivelazioni, tutte rigorosamente top secret.

L’ombra del pentito proiettata sul muro parla, parla, parla; esplicitamente, senza risparmiare niente e nessuno; parla delle vicende legate a Borsellino, parla di Giovanni Falcone, e di eventi legati a questi grandi personaggi.

Brachino si raccomanda di attenersi a fatti rigorosi, verificabili, il pentito non dice di si, ma va avanti lo stesso, come se il motore delle sue parole abbia ormai intrapreso una ripida discesa.



Si percepisce un sentore di istrionismo, in una storia nel cui calderone finiscono proprio tutti, compreso il Vaticano.

Tralasciamo i commenti del pentito sull’Italia. Tralasciamo anche le parole di amore e di commozione/cordoglio per la famiglia Borsellino. Atteniamoci ai fatti, è una vicenda troppo delicata per non calibrare le parole.

Inaspettatamente, quando Brachino gli dice che è scaduto il tempo, il signor Calcara chiede un altro minuto per tessere un encomio a Borsellino, veramente inarrestabile.

Poi arriva troppa pubblicità, e si giunge al cuore della trasmissione.

Ascoltiamo la drammatica testimonianza dell’unico superstite: la guardia del corpo Antonio Vullo. Domenica 19 Luglio 1992, a cinquantasei giorni di distanza dalla strage di Capaci Antonio Vullo sopravvive alle cariche esplosive che uccidono Borsellino.

La voce che esce dalla bocca di uno che era lì, che si è visto letteralmente esplodere, fa venire i brividi, soprattutto vedendo in sottofondo le drammatiche immagini di quel terribile giorno.

Le parole della guardia tornano al momento del “botto”, e ci descrivono i devastanti effetti psicofisici che il trauma gli ha causato. Deve essere atroce. Il servizio è schietto, un intervista in primo piano in cui i fatti narrati la fanno da padrone nell’animo dell’ascoltatore.

Successivamente è la volta di Salvatore Borsellino, fratello del giudice. Non è la mafia il mandante, la mafia ha solo collaborato. Il dossier è interessante, si cerca idi cogliere i punti salienti della vicenda, una vicenda sicuramente troppo intricata e complessa per essere riassunta in un dossier.

Nota positiva: si fanno molte domande, e non si danno risposte affrettate. Si ascoltano con attenzione le testimonianze dei parenti, degli amici, degli esperti e dei non esperti.

Dopo un decollo assolutamente incerto la trasmissione prende quota con una gradita dovizia di particolari riguardo a questa oscura e complessa vicenda.

Non ho colto il “top secret” quanto una serie di informazioni comunicate in modo divulgativo e con “accento italiano”. C’è anche da considerare che la vicenda si sostiene da sè, essendo di un’importanza e di una gravità assolutamente incalcolabili nel contesto della storia italiana, e gli espedienti tecnico/narrativi passano ben presto in secondo piano.
Bello il servizio di Micaela Bohle su Emauela Loi, la poliziotta deceduta nella strage di via d’Amelio. Una storia per raccontarne tante, il dolore che si diffonde nella rete degli affetti, e filtra l’impossibilità della rassegnazione accanto alle emozioni che emergono con angoscia dalla memoria.

La famiglia di Emanuela ha saputo della morte della figlia dalla televisione.

Ho avuto un’impressione di leggerezza nel sentire parlare di mafia come di un qualcosa con cui si può anche trattare, alla quale ci si associa e dalla quale si dissocia. Può sembrare una considerazione banale, ma non riesco più a capire chi sono i cattivi.

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