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Morgan non vale una Alcoa

Ci hanno ammorbato per tutta la scorsa settimana con la storia di Marco Castoldi in arte Morgan e del suo rapporto con la polvere bianca, una sovraesposizione mediatica tale che lo stesso Mauro Masi dg della Rai ha dovuto ammettere:”La Rai è interessata da un’attenzione mediatica che ci sembra francamente eccessiva e anche un po’ superficiale“, un’incessante tamburo battente che ha interessato buona parte dei programmi della tv di Stato: da Il fatto del giorno a La vita in diretta, fino all’apoteosi nell’Arena di Massimo Giletti e in particolare a Porta a Porta, con le lacrime (di Livia Turco) e il pentimento del diretto interessato, un’interminabile sequela di sproloqui e frasi ad effetto condotta fino allo sfinimento dell’ignaro telespettatore.

Tutti bravi a stigmatizzare, l’utilizzo di droghe anche a scopo “taumaturgico”, ben diffuso in ogni dove non solo nel mondo dello spettacolo, (il servizio de Le Iene con i politici docet), motivo di sorpresa da parte dei più di fronte a quella che a tutti gli effetti appare come la scoperta dell’acqua calda. Una scelta quella di mettere Morgan al centro dell’attenzione premiata dai numeri, ma che cela ben altri sinuosi obiettivi, con l’opinione pubblica circuita, abbordata, depistata da quelli che dovrebbero essere le reali urgenze del momento.

Che la droga, scorra a fiumi soprattutto nei grossi centri urbani non è certo una novità, nell’inverno 2007 Raitre mandò in onda Cocaina una docufiction di Roberto Burchielli e Mauro Parissone, le cui telecamere seguivano la giornata tipo della Mobile di Milano intenta a contrastare l’uso e lo smercio di stupefacenti nel capoluogo lombardo. Il programma, la cui messa in onda venne osteggiata da alcuni esponenti politici di destra, mostrava come i consumatori di cocaina fossero spesso degli insospettabili: operai, manovali, padri di famiglia coinvolti nello spaccio per potersi pagare la “bamba” quotidiana. “Ma da dove entra tutta questa roba!” era la frase pronunciata da uno dei poliziotti protagonisti che riassume il senso di tutta la trasmissione..

L’impressione è che la Rai, abbia affondato le unghie nella storia dell’ex Bluvertigo, spacciandola (scusate la battuta) per uno spottone sul buon senso, intuendo la potenzialità di una notevole cassa di risonanza per l’imminente Festival di Sanremo dall’ambigua sorte e allo stesso tempo distraendo lo spettatore da argomenti caldi come le manifestazioni degli operai dell’Alcoa di Fusina a rischio chiusura e dall’approvazione della legge sul legittimo impedimento, ben altra cosa rispetto un musicista cocainomane nell’italietta del ventunesimo secolo, più che sufficiente a richiamare frotte di telespettatori davanti al teleschermo con buona pace di chi vorrebbe cambiare il volto di questo sciagurato Paese, schiavo del Grande Fratello e pronto a scendere a compromessi per la vittoria della squadra del cuore.

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