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Recensione: The Eye

Girare il remake di un film non è mai un’operazione facile. Girare quello di The Eye, la pellicola made in Cina (Hong Kong) diretta da Oxide Pang Chun e Danny Pang nel 2002, considerata da molti amanti del genere un capolavoro, è ancora più difficile. Se poi si pensa, che la cultura orientale è molto differente da quella occidentale, ciò che poteva essere difficile diventa arduo.

Non curanti del pericolo flop (abilmente evitato), il duo francese, David Moreau e Xavier Palud, splendidi artefici dell’inquietante Them, provano a riproporre The Eye in versione occidentale e seppur il risultato sia una copia sbiadita dell’originale (a mio avviso i personaggi cinesi sono molto più paurosi), non si può dire che il film non sia apprezzabile.

Per questo motivo, proverò a valutarlo senza fare paragoni, che non reggono, basandomi solamente su ciò che uno spettatore, ignaro di essere, di fatto, di fronte ad una copia, può notare.



Sydney Wells (Jessica Alba) è una bravissima violinista, che da piccola, a causa di un incidente, ha perso la vista ad entrambi gli occhi. A distanza di vent’anni, supportata dalla sorella Helen (Parker Posey), decide di affrontare un doppio trapianto di cornee per tornare a vedere. L’intervento ha successo, ma qualcosa di inquietante le rovina la gioia: oltre alla realtà concreta, vede delle essenze mostruose (simili ad alieni) che accompagnano il morituro nell’aldilà o gli stessi morti nei luoghi del loro decesso. Non solo: quando dorme sogna un grande incendio che pensa sia stato vissuto dalla donatrice sconosciuta delle cornee. Con l’aiuto del dottor Paul Faulkner (Alessandro Nivola) indaga sulla sua donatrice, scoprendo l’inimmaginabile…

Una non vedente (un’ottima Jessica Alba, che stavolta più del suo corpo esibisce doti di recitazione e mimica facciale niente male), sogna da anni di riacquistare uno dei sensi, ricevendone un altro in regalo: il soggetto è veramente interessante e la storia regge dall’inizio alla fine, accompagnando lo spettatore al colpo di scena finale, senza lasciare interrogativi in sospeso.

L’unico neo che ha la pellicola (e che la getta nella mediocrità), a mio avviso, è la continua ricerca di stupire lo spettatore, a tal punto da diventare del tutto prevedibile (escluso il finale): la morta che lei vede prima di avvicinarsi al corpo della vittima distesa in mezzo alla strada, l’uomo torcia a cui passa a fianco mentre si dirige in Messico, il bambino morto che ogni tre per due chiede notizie della sua pagella, gli esseri, che accompagnano le anime dei defunti, troppo ben definiti, sono alcune delle tante sottigliezze a cui i registi non hanno dato la giusta importanza, pur di proporle tutte senza tralasciarne alcuna.

Non mi ha soddisfatto appieno nemmeno il personaggio del dottor Faulkner, che più che essere un buon dottore di sostegno, sembra un amico un po’ scazzato (passatemi il termine), che crede alla sua paziente solo quando c’ha voglia e che cambia idea con il cambiare del tempo.

Fino ad ora avete letto maggiormente di critiche al film e vi chiederete probabilmente che cosa possa portare uno spettatore a pagare per vederlo al cinema (a parte la storia, che non è nemmeno originale). E’ presto detto: The eye (tralasciando ciò di cui ho parlato sopra) è curato nei minimi particolari, dalla preparazione dell’attrice (Jessica Alba se non sbaglio in un intervista ha raccontato di aver imparato da una non vedente a comportarsi come tale e da una istruttrice di violino a suonare lo strumento), alla ricomposizione della storia, dalle riprese dei dettagli (le smorfie di lei davanti allo specchio, l’orologio sul comodino, le scritte sui muri) all’ottima fotografia.

Concludendo: trasformare una storia orientale in una occidentale, fa perdere quella spiritualità di cui l’originale è fortemente imperniato, eppure anche attraverso gli occhi di una americana si può leggere la tensione e la paura (di diventare pazza) di un essere umano che non ha mai avuto nulla a che fare con l’extrasensoriale. Per questo motivo, consiglio il film a tutti gli amanti del genere (che non hanno apprezzato la versione cinese) e a tutti coloro che sono disposti, dopo la proiezione, a mettere in discussione ciò che vedono, riappropriandosi dei propri sensi, assopiti dalla preminenza della vista.

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