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Recensione: Chiamata senza risposta

Nell’epoca del cellulare può accadere di tutto, ma quello che succede a Beth Raymond (Shannyn Sossamon) e prima ancora ai suoi amici, cioè di ricevere una telefonata dal futuro, con loro stessi che annunciano la loro morte, con tanto di data e ora precisa, non è immaginabile.
Neppure Beth e l’agente Jack Andrews (Edward Burns), che indagano sulla morte dei loro amici (tre colleghi di università) o dei loro famigliari (la sorella del poliziotto), possono credere che una telefonata sul cellulare, anche quando questo è senza batterie, possa comportare la morte delle persone.
Quando però è Beth a ricevere quell’inquietante messaggio di morte il tempo stringe e bisogna risolvere l’enigma, che nasconde una verità scioccante e paranormale.


Chiamata senza risposta (One Missed Call) horror diretto da Eric Valette, remake del giapponese The Call (2003), è accozzaglia di film del genere come Final Destination (tipologie di morti e legami tra di loro), la trilogia di The Call e Phone (il mezzo con cui il destino informa della fine imminente della vita del contattato), The Ring (l’idea che una volta ricevuto l’annuncio, il proprio futuro è segnato), che non porta niente di nuovo al genere, non spaventa, è prevedibile e a tratti senza senso.
Il film non convince sin dall’inizio: una serie di ragazzi muore e pur sapendo anticipatamente che frasi dirà al momento della propria fine, non si ingegna minimamente per non percorrere la strada già segnata; in mezzora muoiono praticamente tutti i personaggi che moriranno nell’intero arco del film, con un’inflazione di effetti speciali che creano volti traballanti, facce urlanti, movimenti scattosi, che visti senza un minimo di suspense non hanno senso di esistere, per non parlare degli insetti, che vengono proposti in versione integrale o in versione sottopelle, unicamente per creare fastidio allo spettatore.
Il proseguo è ancora peggiore: il telefono continua a suonare la suoneria odiosa, le spiegazioni latitano e, colpo di scena finale, lo spirito assassino, non riuscendo ad eliminare la protagonista nel modo classico di punto in bianco cambia modus operandi, cosa mai vista in un horror (e come, per intenderci, se Freddie Krueger, famosissimo mostro dei sogni di Nightmare, ad un certo punto, non riuscendo a far fuori la sua vittima, si mettesse ad ammazzarli da svegli).
Il finale è da dimenticare: per dare credibilità al film si prendono tutti i particolari inquietanti sparsi lungo la storia, dai lombriconi, all’orsacchiotto, dalla caramella ai pupazzi inquietanti (quelli si che potrebbero traumatizzare un bambino) e si piazzano tutti nella stanza della possibile fonte del problema e si procede alla spiegazione futile con tanto di finale aperto per un possibile sequel.
Concludendo: Chiamata senza risposta è un film senza anima (sarà finita all’interno del cellulare), che non ha niente a che spartire con l’horror originario, che si poggiava su leggende metropolitane e storie tradizionali. La pellicola arriva con anni di ritardo rispetto agli altri titoli simili, quando ormai certi particolari non sorprendono lo spettatore che è cresciuto tra remake asiatici (The Ring, The Eye), storie splatter (Saw, Hostel) e horror basati sulla tecnologia, come quelli già citati all’inizio. Quasi impossibile da consigliare.

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