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Recensione: Mimzy il segreto dell’Universo

Mimzy il segreto dell’universo è un film, che ha almeno tre livelli narrativi distinti. La somma di tutti loro dà al film la sufficienza, ma prendendole separatamente, le storie sono o già viste, o esasperate. Analizziamo le tre possibili trame una ad una.
Per un pubblico di bambini: Emma (Rhiannon Leigh Wryne) e Noah Wilder (Chris O’Neil) sono due fratelli, la prima secchiona, il secondo appassionato di videogiochi. Durante le vacanze di pasqua, vanno con la mamma nella loro casa al lago e trovano dei giocattoli. Quelli, che per l’occhio di un adulto potrebbero sembrare cose insignificanti, per i bambini sono in realtà degli oggetti speciali. Emma trova pure un coniglietto di pezza, Mimzy, con il quale comunica, che le darà una missione da compiere per salvare il mondo.
Per un pubblico adulto: Jo(Joely Richardson) e David (Timothy Hutton) sono i genitori di due figli, Emma e Noah, che sembra non vogliano mai ascoltarli, preferendo stare ore e ore a giocare con i videogiochi o a guardare la televisione. I due giovani genitori, quando scoprono la trasformazione dei figli in geni, senza alcun motivo palese (si scoprirà in seguito che la causa scatenante è un coniglietto di pezza, che è stato progettato nel futuro per ritrovare i valori che salvino l’umanità), decidono di scoprire la verità affidandosi alla scienza e alla filosofia. La soluzione è però davanti a loro: basta che ascoltino i bambini.


Per un pubblico critico: in un futuro prossimo, gli abitanti della Terra perderanno completamente i valori. Per questo motivo uno scienziato decide di mandare nel passato i Mimzy, coniglietti di pezza, a cui è riuscito a dare quasi la vita, per trovare una donatrice di purezza. Uno di questi peluche arriva a Emma, che con l’aiuto del fratello Noah, ascolterà il grido d’aiuto, di cui il mondo non riesce a sentire nulla, troppo preso dalla tecnologia e capace di vedere soltanto, ma non di udire. Riporre nelle giovani generazioni, amanti della natura e ancora capaci di sognare, la speranza di un futuro migliore non deve essere un bisogno, ma una volontà.
Robert Shaye, dirige un film dove, dietro la storia alquanto banale e già sentita, si nasconde un significato più profondo (così come dietro ad un semplice coniglietto di pezza si nasconde un essere, creato dall’uomo, che vive di vita propria, ma che deve ancora conoscere i valori). Per comprenderlo bisogna andare aldilà di ciò che vediamo (anche Emma propone più di una volta al fratello di chiudere gli occhi) e ascoltare, perché, nascosti dai mille rumori e le mille voci della nostra vita quotidiana, c’è un mondo, di cui noi facciamo parte, che pulsa e respira e che potrebbe morire, di cui noi non ci accorgiamo (il finale ci fa intendere, che gli alieni siamo noi che ci isoliamo e non abbiamo più voglia di conoscere chi ci sta intorno).
Mimzy è un film troppo complesso per un bambino e troppo semplice per un adulto: la storia, con tutte le sue metafore (vorrei citarvi ancora quella del rapporto fra scienza e filosofia, rappresentata dal professore di Noah e la sua fidanzata, esperta in filosifia orientale) è lento e pesante per un pubblico giovane, a cui non può bastare un effetto speciale ripetuto all’ennesima potenza durante il film per lasciarlo a bocca aperta all’uscita del cinema, mentre è troppo prevedibile e ha quel sapore di già visto, che non può lasciare del tutto soddisfatto lo spettatore più cresciutello.
Il risultato come detto è sufficiente, ma son convinto, che per raccontare una storia simile ci siano metodi più efficaci e scorrevoli, che non lasciano dubbi a chi lo guarda (ad esempio: perché il governo non continua con i test sui bambini anche dopo aver scoperto la verità? Era veramente necessario inserire la figura, solo abbozzata, di Nathanial (Michael Clarke Duncan), l’uomo del governo?)
Concludendo: consiglio il film alle famiglie, che vogliono vedere insieme un film adatto a grandi e piccini, capace di far riflettere, ma fino ad una certa età, anche di far sognare.

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