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In Justice: se proprio devo!

In Justice, 13 puntate e forse un’unica serie. La acquistereste? Non so come la pensiate voi, ma Rai3 ha pensato che ne valesse la pena ed eccomi qui a recensirvela.

Prodotta dalla ABC nel 2006, e trasmessa da Fox Crime a dicembre 2007, è tutt’ora in onda (forse ancora per poco) su Rai3 ogni giovedì, alle 22.30. In Justice narra le avventure di un gruppo di legali no profit che si occupano di difendere persone accusate ingiustamente (da qui il gioco del titolo), riuscendo anche a scoprire il vero delinquente.

Il cast d’attori è formato da Kyle MacLachalan che interpreta il capo del progetto David Swain, un avvocato (un altro direi), che ha alcuni aspetti del Dr.House, Jason O’Mara che impersona Charles Conti, un detective che si occupa delle faccende delicate e sporche di ogni caso e Constance Zimmer, Marisol Nichols e Daniel Cosgrove che interpretano un gruppo di giovani avvocati (vi ricorda qualcosa?), Brianna, Sonya e Jon, vogliosi di imparare e affermarsi.


Premesso che se tutti in tutti i casi lavorasse la scientifica di Las Vegas e quel genio di Grissom il signor Swain non lavorerebbe mai, è impressionante quanto In Justice sia un mix di serie televisive: la già citata Dr.House, C.S.I. e ovviamente tutte quelle giuridiche di cui anch’essa fa parte.

Da Dr.House riprende il suo protagonista principale, Swain, un capo intuitivo, che gioca coi videogiochi mentre le altre persone parlano, che si arrabbia se non ci sono risultati. I suoi tre assistenti ricordano quelli del dottore, perché vanno nelle case a cercare prove, ogni tipo di indizio.

Per lo stesso motivo ricorda un C.S.I. al contrario in quanto i metodi per ritrovare le prove sono spesso molto professionali e polizieschi, però lo fa un bel po’ di tempo dopo che il crimine è stato commesso e ragiona su quegli aspetti che la polizia normale non prende in considerazione, ma che la scientifica di Las Vegas utilizzerebbe per scoprire il colpevole.

Perché non ho trovato soddisfacente In Justice, perché manca di mordente. Mi spiego: è come se da ogni puntata trasparisse il messaggio che tanto loro sono nel giusto e sono infallibili (stile Topolino per intenderci), quindi si perde quella curiosità nel sapere il vero colpevole. E come quei film dal finale prevedibile che può esserti piaciuto, ma non ti lascia nulla. E’ scontato. Ecco la parola giusta: scontato.

Se per House si può accettare lo schema di sviluppo della puntata (problema sconosciuto, scoperta del problema, vari tentativi di risolvere il problema, soluzione o fallimento), perché per lo meno c’è un signor protagonista che con il suo cinismo regge tutta la storia, in questa serie manca la possibilità di fallire e manca il coinvolgimento con i personaggi.

Concludendo: non mi sorprende che la serie non abbia un sicuro futuro e non mi sorprende di saperla sospesa negli Stati Uniti, perché dopo che per 13 puntate hai visto sempre lo stesso modo di raccontare una storia, non trovi più lo stimolo per guardarla.

Per questo motivo dico: In Justice, se proprio devo, la guardo.

2 commenti su “In Justice: se proprio devo!”

  1. Scordavo,il protagonista era meglio quando faceva l’agente speciale Dale Cooper in un gran telefilm targato David Lynch.Ricordate Twin Peaks o un certo film sempre del grande Lynch Fuoco cammina con me?

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