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Recensione: Waterhorse – il mostro di Lockness esiste veramente?

Waterhorse è una storia fantastica per un pubblico giovanissimo, una storia piacevole per quello adulto, ma nella sua piacevolezza c’è tanto di già visto.
Scozia, seconda guerra mondiale: Angus (Alex Etel), un bambino emarginato dai suoi coetanei, che ha perso il padre durante la guerra, ma non vuole accettarlo, trova sulla riva del mare un uovo e decide di prenderlo. Quando l’uovo si schiude esce un drago marino, essere quasi mitico, di cui esiste un solo esemplare alla volta sulla Terra. Angus cerca di nasconderlo alla mamma (Emily Watson) e ai militari, che hanno occupato casa sua per motivi strategici, grazie all’aiuto della sorella e del tuttofare (Ben Chaplin), un ex militare che occupa il laboratorio del padre del bambino. Crusue, questo è il nome del drago marino, quando cresce torna nel suo habitat naturale, ma deve fare i conti con la cattiveria dell’essere umano, che nel frattempo l’ha già battezzato mostro, pronto ad ucciderlo.
Jay Russell torna a dirigere un film dopo i successi di Squadra 49 e Tuck Everlasting, portando sul grande schermo un’altra storia scritta da Dick King-Smith (lo stesso di Babe, maialino coraggioso), raccontandoci l’esperienza incredibile che vive un bambino, direttamente per bocca dello stesso Angus, che da vecchio (interpretato da Brian Cox) descrive tutta la sua storia a due viaggiatori, ipoteticamente rappresentanti di noi spettatori.


Il film è una bellissima favola, ben interpretata, che lascia perplessi soltanto per alcuni aspetti, fondamentali, però, per rendere una pellicola sufficiente, un capolavoro: Crusue, completamente elaborato con la computer grafica è un prodotto abbastanza vecchio (ricorda i lucertoloni delle serie televisive Primeval e Suface come fisionomia e E.T. come umanità e legame affettivo con il piccolo Angus), ma ad onor del vero fatto comunque benissimo; la storia non ha un crescendo drammatico marcato, risultando abbastanza piatto dall’inizio alla fine (quasi due ore di film); gli attori recitano la loro parte, ma non cercano di caratterizzare più di tanto i loro personaggi, che risultano molto fiabeschi (ovvero ben delineati quanto stereotipati); il fantastico paesaggio che fa da sfondo a tutta la vicenda, non viene sfruttato più del necessario (un vero peccato); la conclusione è il classico lieto fine che fa molto Hollywood classico (anche un po’ Free Willy).
Concludendo: Water Horse, regala emozioni, alle quali però siamo ormai abituati, attraverso le parole di un vecchio, che con la sua finezza e saggezza racconta ai due turisti ciò che noi vediamo. La vera storia del mostro di Lockness risulta alla fine più una favola per bambini, più che la descrizione appassionata di colui che l’ha vissuta in prima persona. Per questo, il film lo consiglio soprattutto ai bambini e ai ragazzini, affinché possano, usciti dal cinema, dopo aver visto le immagini di Water Horse, continuare a viaggiare con la fantasia.

1 commento su “Recensione: Waterhorse – il mostro di Lockness esiste veramente?”

  1. Una storia vista e rivista, l’ambientazione era la stessa di un film sul mostro di Lockness dei primi anni del 2000, sicuramente più accurata ma nulla di nuovo.

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